Sabato 31 maggio, da tutta Italia si sono mossi verso Roma: lavoratrici, studenti, sindacaliste, attivisti, cittadine e cittadini che da mesi si oppongono al cosiddetto Dl Sicurezza.
Un decreto che colpisce il diritto di sciopero, limita la libertà di manifestazione e trasforma reati amministrativi in reati penali.
Nel mirino: le proteste sindacali, che rischiano di essere criminalizzate come “blocco stradale” o “interruzione di pubblico servizio”.
Nel mirino: l’articolo 40 della Costituzione, quello che riconosce il diritto di sciopero.
Nel mirino: la possibilità stessa di dissentire.
È una questione di memoria e di futuro.
Oggi festeggiamo l’anniversario della Repubblica nata dalla Resistenza. Era il 2 giugno del 1946, quando per la prima volta le donne votarono, scegliendo tra monarchia e repubblica, e parteciparono alla nascita dell’Assemblea Costituente. Oggi, nel 2025, quei diritti vanno di nuovo difesi. Il nostro compito è continuare a protestare e a opporci, con il corpo e con la voce.
Nello spazio pubblico, ancora e sempre.
Troppo bella per fare politica?
Ci sarebbe davvero troppo di cui parlare, ma mi soffermerò su alcuni approfondimenti che ho portato avanti in questa settimana. Uno di questi è la vittoria di Genova. Quando una donna entra con decisione nei luoghi del potere, il giudizio spesso si sposta su altro. Sul suo corpo. Sul suo viso. Su ciò che indossa.
Silvia Salis, neoeletta sindaca a Genova, ne è l’ultima vittima. Ex atleta olimpica, vicepresidente del CONI, amministratrice capace. Ma per alcuni, semplicemente: bella. E quindi, “sospetta”. Come se competenza e bellezza non potessero stare insieme. Come se, ancora oggi, l’essere donna fosse un rischio per la credibilità.
Non è solo una questione estetica. È una questione culturale.
Alexandria Ocasio-Cortez indossò un vestito al Met Gala con scritto Tax the Rich. Il dibattito si è acceso sul vestito, non sul messaggio.
Sanna Marin è stata ripresa mentre ballava a una festa privata: è bastato un video per chiedere un test antidroga.
Siamo abituate a essere giudicate più per come ci muoviamo che per quello che diciamo. Più per il rossetto che per il discorso.
Più per il nostro corpo che per la nostra visione.
Il ciclo mestruale tra Millennials e Gen Z: meno tabù, più consapevolezza
Un altro spazio dove il corpo continua a essere politicizzato e stigmatizzato è quello del ciclo mestruale.
Ma anche qui, qualcosa cambia.
Una nuova ricerca di mUp Research per Initial fotografa un cambiamento generazionale:
I numeri dicono:
Il 78% della Gen Z si è sentita preparata al primo ciclo.
Solo il 31% delle Millennials ne ha potuto parlare liberamente in adolescenza.
Una Millennial su tre non ha ricevuto alcuna informazione preventiva.
Il 6% della Gen Z ha imparato qualcosa dai social, il 15% a scuola.
La direzione è buona. Ma serve di più: educazione nelle scuole, accesso ai prodotti igienici nei luoghi pubblici, parole nuove.
La libertà si difende col corpo. Sempre.
Che sia un corpo giudicato troppo bello per essere competente.
Un corpo che balla a una festa.
Un corpo che manifesta.
O un corpo che sanguina e ancora è trattato come vergogna.
Parlare di libertà significa parlare di corpi. E la Costituzione non è solo un testo: è un patto vivo, da rinnovare ogni giorno.
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Flavia
Complimenti, i tuoi interventi colpiscono nel segno come sempre, sempre presente.
Complimenti, come sempre articolo sintetico ma pieno di contenuti.